RIFLESSIONE. IL MALE CHE STA DENTRO DI NOI

dormire1.jpgIl problema del male che si trova all’interno del nostro io, della nostra persona, della nostra anima, della nostra vita e che sempre di più si manifesta in comportamenti ed atteggiamenti esterni, con la violenza, la cattiveria, la depressione, la superbia, ed ogni altro modo di manifestare il disagio psicologico e la problematica esistenziale è stato oggetto di riflessione e studio da sempre. Non sono state solo le religioni a trattare questo argomento, focalizzando la loro attenzione al discorso spirituale e morale, ma anche le scienze umane, le scienze biologiche, le scienze psicologiche. Certamente chi meglio e più direttamente si è posto il problema del male che è dentro di noi è stato Seneca, definito dagli studiosi “il terapeuta delle classi dirigenti”.
Il male e la sofferenza sono naturali negli esseri umani e derivano da molte cause. I dolori sia fisici sia morali, sono sintomi di stati patologici che vanno indagati e, se è possibile, curati.
La filosofia stoica, come le altre filosofie che si diffondevano nel periodo ellenistico, offre un sistema di diagnosi e di cura, che parte da un livello elementare necessario, ma immediatamente utile: prendere coscienza del proprio stato di alterazione o sofferenza. Già questo è l’inizio della guarigione.
Seneca indirizza, la propria ricerca, verso un tipo di malattia e di sofferenze che non deriva dai disagi materiali dell’esistenza, come la fame, la sete, la carestia, la morte in guerra; ci sono altre sofferenze fisiche e morali, che nascono da uno stile di vita sbagliato e riguardano soprattutto le persone che vengono invidiate da tutti perché potenti e famose, spesso al vertici dello Stato. La radice dei mali che affliggono chi ha raggiunto un elevato grado di responsabilità sta nell’incapacità di prendere le distanze dagli automatismi di una vita frenetica, che fa perdere il senso del tempo.
Seneca propone su questo problema una serie di semplici consigli, frutto di buonsenso, quasi da artigiano della psiche, per interrompere l’alienazione di una vita spesa senza il gusto di assaporarne i momenti migliori. Volendo concentrare in una formula il suo metodo d’indagine e di cura possiamo ricordare un suo suggerimento in forma di imperativo: protinus vive, protínus significa “subito, immediatamente”, ma anche continuamente, “senza intervalli”.
Quindi: “vivi subito, non domani, e vivi senza perdere mai il contatto con la tua esistenza”. Oggi è luogo comune parlare di noia esistenziale e cioè di quell’insoddisfazione che deriva dal semplice fatto di vivere e dalla ripetitività delle azioni quotidiane. Cerchiamo allora il vario, il diverso, il sempre nuovo. Ma anche la novità non acquieta la noia: non giova rivoltarsi in un letto o mutare luogo. “Il male lo abbiamo dentro di noi – dice Seneca- in quanto siamo inadatti a qualsiasi tolleranza”.
Il settimo dei Dialoghi senecani (De tranquillitate animi) tratta il tema del distacco del sapiente dai dolori e dalle difficoltà, ovvero dalla sua condizione, di atarassia a quella di euthymia (tranquillità).
L’autore sostiene che la scontentezza di sé è uno tra i peggiori mali che possono affliggere l’animo umano; frutto di “uno spírito intorpídito tra desideri delusi”, questo taedium et displicentia si tende a farsi addirittura insostenibile nei momenti di otium.
L’uomo però anziché ricercare nel proprio animo le radici di tale insoddisfazione, tenta di porvi rimedio in vari modi, per esempio, viaggiando, oppure, cambiando stile di vita: il tutto invano, anzi ottenendo il risultato di condurre l’animo ad un tale disgusto per la vita da accarezzare l’idea del suicidio.
A questo punto Seneca segnala come rimedio l’impegno anche politico al servizio dei propri simili; oppure viene consigliata la scelta dell’otium (cioè della vita contemplativa) o della filosofia che assicura all’uomo la sapienza e la felicità. Dunque il sapiente lungi dal fuggire da se stesso, trova nella sua interiorità, perfettamente libera da condizionamenti esteriori, il suo totale appagamento: non esiste alcun bene duraturo all’infuori di quello che l’animo trova dentro di sé. Soprattutto nelle Epistole domina il  richiamo all’interiorità, alla necessità di trovare non all’esterno ma in sé stessi la soluzione dei problemi esistenziali: è necessaria una sorta di conversione che può attuarsi solo nell’intimo della coscienza.
Di diverso spessore è il discorso sul male dentro di noi che troviamo nel Vangelo e nel messaggio cristiano che è opportuno richiamare e citare secondo quanto riporta l’evangelista Marco al capitolo 7: “[1] Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. [2] Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate – [3] i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, [4] e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame – [5] quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?”. [6] Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. [7] Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. [8] Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. [9] E aggiungeva: “Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. [10] Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. [11] Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, [12] non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, [13] annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”. [14] Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e intendete bene: [15] non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. [16] . [17] Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. [18] E disse loro: “Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, [19] perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?”. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti.[20] Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. [21] Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, [22] adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. [23] Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.

RIFLESSIONE. IL MALE CHE STA DENTRO DI NOIultima modifica: 2012-03-22T00:20:57+01:00da pace2005
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