Le cosiddette compagnie composte da almeno tre religiosi, che poi potevano essere di più in base alle esigenze delle parrocchie e dei paesi, erano deputate alla missione popolare, alla quale ci si preparava seriamente e non tutti i religiosi le facevano. La compagnia era strutturata con un superiore della missione e con gli altri confratelli che collaboravano alla buona riuscita del periodo intenso di predicazione. Anche i compiti erano ben fissati, con il catechista del mattino e quello della sera e soprattutto con il predicatore della predica maggiore che si teneva in chiesa, dal pulpito e nei tempi in cui microfoni in chiesa non esistevano con voce potente e calibrata, in modo da raggiungere tutto l’uditorio. La predicazione delle massime eterne: morte, giudizio, inferno e paradiso era quella più efficace su un piano di risposta personale alla conversione, ma efficacissima era la commemorazione della Passione di Cristo con la predica se si faceva nel venerdì, fino a commuovere sinceramente i presenti. La missione dei primi tempi, e parliamo di quasi tre secoli di impegno missionario dei passionisti, non solo in Italia, ma in varie parti del mondo, come quella dei tempi moderni produceva comunque i suoi effetti benefici a livello spirituale e sociale. Tante le conversioni, tante la rappacificazioni, tanti i ravvicinamento delle persone, magari dopo anni di lotte e divisione, specie nelle famiglie, tra parenti e vicine. Nelle relazioni che i missionari facevano per esprimere una valutazione, oggi diremmo verifica, molto veniva sottolineato l’aspetto della pace delle famiglie recuperata proprio durante la predicazione, ma anche dopo, quando i missionari andati via continuavano a mantenere i rapporti con i territorio evangelizzati. Il tutto si faceva sempre nel rispetto dei parroci, dei vescovi e dell’ambiente. Si narrano fatti singolari di conversione personali e collettive, non solo durante le tantissime missioni predicate da san Paolo della Croce, cosa molto scontata ed ovvia data la fama di santità del fondatore dei passionisti, ma anche in seguito, per tanti anni e decenni e secoli durante i quali i passionisti hanno particolarmente curata la predicazione itinerante con le missioni popolari. Oggi le richieste di simile predicazione sono ridotte di molto, anche perché l’annuncio missionario straordinario viene considerato, ingiustamente, poco efficace. In realtà basta poco, a volte un attimo di docilità allo Spirito Santo, per convertire sinceramente alla fede cristiana vissuta e praticata. Ebbene, in tantissime missioni popolari si concludeva la missione con la posa della croce ricordo. E prima di alzare l’albero della Croce, si sotterravano armi di ogni tipo che venivano utilizzate soprattutto in quei luoghi dove più forte era il convincimento dell’autodifesa armata. Ciò soprattutto dopo i conflitti mondiali o dopo le guerre per il risorgimento italiano. I Passionisti, missionari del popolo, per il popolo ed in mezzo al popolo, sceglievano, sull’esempio del loro fondatore, i luoghi più difficili e poveri da evangelizzare. In ogni missione popolare, il bene delle anime veniva curata e realizzato in modo competente e con generosità di servizio e donazione alla causa del vangelo. Va pure detto che non tutte le missioni popolari riuscivano bene, soprattutto dove non erano state preparate bene o c’era una certa resistenza anche da parte del clero, quando erano i vescovi a chiedere un simile specialistico intervento di annuncio e predicazione. Ma nella stragrande maggioranza dei casi le missione erano un successo in tutti i sensi, anche perché nonostante i pochi mezzi a disposizione dei missionari, ciò che faceva effetto è la grande abilità dei predicatori di convincere le persone sull’importanza di una vita di fede, una vita autenticamente cristiana e di fedeltà al proprio stato. Quando mancano auto e trasporti di ogni genere, i missionari raggiungevano i luoghi di missione, a volte a miglia di chilometri, o a piedi, percorrendo i tratti per lunghe giornate, oppure con mezzi di fortuna. Veniva ospitati presso la canonica o presso famiglie di provata virtù. Conclusa la missione facevano ritorno nei rispettivi conventi e portavano ai confratelli che pregavano per loro, l’esperienza fatta, i lati positivi e quelli negativi. Serviva questo per predisporre i religiosi alla missione locale o ad gentes con la convinzione che predicare non è facile e semplice e i risultati di essa non sempre sono soddisfacenti. Molto dipendeva da come si predicava e cosa si predicava e se la parola detta riuscisse ad interessare non solo l’uditorio specializzato e preparato, ma anche le persone semplici, senza istruzione, ma con una grande volontà di apprendere le cose di Dio per la salvezza delle loro anime. Oggi in varie parti d’Italia, dopo un periodo di crisi, si sta riprendendo il discorso delle missioni che rispetto al passato sono diversamente organizzate e poi svolte. L’imminente apertura dell’anno della fede, il sinodo sulla nuova evangelizzazione certamente farà aprire gli occhi ai passionisti del terzo millennio dell’era cristiana per capire e agire al fine di annunciare con efficacia il mistero del Crocifisso, secondo il motto di San Paolo Apostolo e di San Paolo della Croce, al quale i santo fondatore dei passionisti di ispirò nel corso della sua vita di coraggioso missionario del Crocifisso e della fede in ogni parte d’Italia, ove lasciò la scia della sua santità e della sua efficacia parola pronunciata nel nome di quel mistero della passione di Cristo, definita da lui come la più grande, meravigliosa stupenda opera dell’amore di Dio.
Le missioni dei passionisti e le croci-ricordo della predicazione di esse, portano dentro di sé, ieri come oggi l’ansia missionaria e il carisma di San Paolo della Croce della Memoria Passionis.
Padre Antonio Rungi cp