Napoli. E’ morto padre Stanislao Renzi, passionista
di Antonio Rungi
All’età di 80 anni, da poco compiuti, nelle prime ore del 5 febbraio 2015, a Napoli, nel convento dei padri passionisti di Santa Maria ai Monti è morto padre Stanislao Renzi, religioso della Congregazione di San Paolo della Croce (Passionisti). Padre Stanislao dell’Addolorata (al secolo Tommaso Renzi), di fu Vincenzo e di fu Enrica Fantaccione, era nato a Castrocielo (Fr), nell’attuale diocesi di Sora-Aquino e Pontecorvo, il 20 novembre 1934. Tra i passionisti professa a Falvaterra (Fr) il 22 novembre 1950 e viene ordinato sacerdote a Roma il 31 maggio 1958. Tra i passionisti ha ricoperto molti ed importanti incarichi: consultore alla vita comunitaria e spirituale dal 1972 al 1982, superiore provinciale della Provincia dell’Addolorata (Basso Lazio e Campania) dal 1982 al 1988; consultore generale dal 1988 al 1994; nuovamente superiore provinciale dal 1998 al 2003; vice- provinciale dal 2003 al 2007, durante il provincialato di padre Antonio Rungi; superiore delle case religiose; docente di filosofia al Liceo dei passionisti di Ceccano, direttore dello studentato teologico di Napoli dal 1970 al 1978. In ambito ecclesiale è stato collaboratore della segreteria della Fies, la federazione delle case di esercizi spirituali; consultore in una congregazione vaticana. Ha guidato molti capitoli generali di vari istituti religiosi femminili; redattore della Rivista Tempi dello Spirito, autore di numerosi scritti di vita spirituale. Noto per la sua esperienza nel campo del governo, era una persona richiesta per le sue competenze. Sacerdote di grande cultura ed umanità, ha posto al centro della sua vita di religioso passionista, e di guida spirituale, il mistero del Cristo Crocifisso e dei dolori di Maria Addolorata. Predicatore di esercizi spirituali, conferenziere, ha lasciato una traccia significativa nella storia della Provincia dell’Addolorata e della Congregazione dei Passionisti. Apprezzato per il suo stile generoso, per la sua affabilità e disponibilità, sapeva coniugare alla serietà del ruolo, quella dell’amicizia sincera. Attaccato profondamente alla Congregazione dei Passionisti di cui è stato uno dei membri più rappresentativi nell’ultimo trentennio, lascia un vuoto profondo nel suo istituto. Da anni soffriva di diabete e si curava per questa malattia. Sorella morte lo ha preso con sé questa mattina, 5 febbraio 2015, nel sonno, addormentandosi serenamente in Cristo, in attesa della risurrezione finale.
I funerali solenni di padre Stanislao Renzi, si svolgeranno, domani pomeriggio, 6 febbraio 2015, alle ore 15.00, nella Chiesa dei Passionisti di Napoli, dove ha trascorso moltissimi anni della sua vita religiosa e sacerdotale, da direttore dello studentato negli anni 70-78, poi da consultore e provinciale negli anni 78-88; poi nuovamente come provinciale negli anni 1998-2003, e negli ultimi due anni, 2012-2014 quando è stato trasferito da Roma, dalla Scala Santa, al Convento dei passionisti di Santa Maria ai Monti in Napoli. Il Signore lo accolga nelle braccia della sua misericordia e gli dia il premio del servo fedele e laborioso.
Ecco uno schema di meditazione sull’attesa del Signore, elaborato dal compianto padre Stanisalo Renzi.
ASPETTARE CRISTO NELL’ATTEGGIAMENTO DEL POVERO
L’attesa che caratterizza l’Avvento presuppone un atteggiamento spirituale:
l’essere poveri davanti a Dio come all’unico Salvatore, all’unica salvezza.
Significato di povero nella Bibbia: mendicante, insignificante, debole, gracile.
Umile: attende tutto da Dio (Maria: lo sguardo del Signore s’è posato sull’umile sua
serva).
La chiave di lettura della povertà è Gesù Cristo: attende tutto dal Padre.
G.C. si fece povero per voi, pur essendo ricco, affinché voi diventaste ricchi grazie
alla sua povertà (2Cor 8,9); così ci viene manifestata la grazia di G.C., misericordia di
Dio a noi partecipata.
Il farsi povero è la kenosis (Fil 2,5-11): svuotamento nell’assumere la condizione
umana e umiliazione nell’obbedienza fino alla morte di croce.
* Gesù è colui che non è e non vive come affermazione assoluta di sé, non fa della
sua vita una “rapina” in funzione dell’affermazione di sé. Per questo è colui che è
interamente dato via e si mette a servizio degli altri per arricchirli della sua povertà.
* La logica dell’incarnazione: un vuoto che non è destinato a rimanere una
privazione, ma che arricchisce.
G.C. si propone come modello ai discepoli: imparate da me che sono mite e umile
di cuore.
Che cos’è l’umiltà? Ha un carattere relativo alla diversità delle persone e delle
libertà personali.
Non tanto virtù, quanto fondamento di tutte le altre virtù. Sottrarla alla soggettività
e al devozionalismo: essa nasce dal Cristo, maestro dell’umiltà (S. Agostino). = Egli ci
insegna a vivere guidandoci a una realistica conoscenza di noi stessi.
È la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio, che ha manifestato la sua umiltà
nell’abbassamento del Figlio.
* È una ferita portata al proprio narcisismo: ci riconduce a ciò che siamo in realtà,
al nostro humus, alla nostra creaturalità e così ci guida nel cammino del nostro
divenire homo. “O uomo, riconosci di essere uomo; tutta la tua umiltà consista nel
conoscerti” (S. Agostino).
*Umiltà davanti a Dio: non autoaffermazione, non credersi al centro del mondo,
espropriarsi di sé per essere ricchi di Dio; essa fa dell’uomo il terreno su cui la grazia
può sviluppare la propria fecondità. L’uomo sa di aver ricevuto tutto da Dio e di essere
amato anche nella propria limitatezza e negatività, perciò si abbandona a Lui, vive
della sua misericordia come un mendicante.
= L’umiltà diviene volontà di sottomissione a Dio e ai fratelli nell’amore e nella
gratitudine. È relativa all’amore. “Là dov’è l’umiltà, là è anche la carità” (S. Agostino).
In questo senso è anche elemento essenziale alla vita in comune: “rivestitevi di umiltà
nei rapporti reciproci” (1Pt 5,5); “stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a se
stessi” (Fil 2,3); “non cercare cose alte, ma piegarsi a quelle umili” (Rm 12,16).
Solo così può avvenire l’edificazione comunitaria, che è sempre condivisione delle
debolezze e delle povertà di ciascuno.
Solo così viene combattuto e sconfitto l’orgoglio, che è il “grande peccato” (Sal
19,14) o forse, meglio, il grande accecamento che impedisce di vedere in verità se
stessi, gli altri e Dio.
Oremus del sabato II settimana d’Avvento.
-Più che sforzo di autodiminuzione, l’umiltà è allora evento che sgorga dall’incontro
fra il Dio manifestato in Cristo e una precisa creatura. Nella fede l’umiltà di Dio svelata
da Cristo diviene umiltà dell’uomo.
-Umiltà è accettare l’umiliazione: dagli altri, i più vicini a noi; dalla vita che ci
contraddice e ci sconfigge; accettazione della nostra povertà più profonda (limiti,
debolezze, carattere, egoismo…). Così è luogo per conoscere se stessi in verità e
imparare l’obbedienza come Cristo. “Bene per me se sono stato umiliato, ho imparato
i tuoi comandamenti” (Sal 119,71).
Attendere Cristo-luce
Sorga in noi lo splendore del Cristo
– AT: la nube luminosa (manifestazione della gloria di Dio) si posava sul tabernacolo,
accompagnava il popolo nel deserto, riempiva il tempio
– NT: La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo
– Nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo (VS)
– Ci è dato comprendere la preziosità della nostra esistenza inserita nel Cristo
Vinca le tenebre del male
– Ci faccia discernere il bene dal male nell’ambiguità del nostro tempo.
– Che la luce del Cristo trionfi sulle potenze sataniche della tenebra (come nell’agonia
e nella morte di Gesù).
– Chiediamo di darci la grazia dell’amore fraterno, che trasferisce dalla tenebra alla
luce (1Gv 2,9).
– Chiediamo di impostare la nostra vita nella verità e non nella menzogna.
– Chiediamo d’essere liberati dagli idoli che ci siamo costruiti.
– Ci riveli al mondo come figli della luce.
– Chiediamo di essere, con la nostra vita, testimoni non solo davanti a Dio, ma anche
davanti agli uomini: di poter compiere opere buone che diano gloria al Padre che è nei
cieli. Queste opere sono soprattutto quelle della carità (cf Mt 25,31-46) e
dell’autentica libertà che si manifesta e vive nel dono di sé. Sino al dono totale di noi
stessi, come ha fatto Gesù che sulla croce «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso
per lei» (Ef 5,25).
Significatività della vita religiosa come singoli e come comunità.
«Se un tempo eravate tenebra — ci ammonisce l’apostolo Paolo —, ora siete luce nel
Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8).
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